SCORCIO DELLA NOSTRA BELLA MACCHIA MEDITERRANEA
NELL’IMMAGINE: ARBUSTI DI MACCHIA MEDITERRANEA
BIANCOSPINO – PRUGNOLO – LIGUSTRO – QUERCIA – CORBEZZOLO – ROSA CANINA
Crataegus monogyna - Prunus spinosa (*) – Ligustrum vulgare – Quercus pubescens –
Arbustus unedo – Rosa canina
(*) - PRUNUS SPINOSA TRIGNO PIANTA CONTRO IL CANCRO. La pianta del miracolo, così viene chiamata già dai cittadini del Molise, è il Prunus spinosa trigno, un arbusto spinoso che produce una specie di bacche blu. L’impatto positivo sui tumori avviene attraverso l’uso dell’estratto della pianta molisana, abbinato a una miscela di aminoacidi, di minerali e di vitamine. «Il Prunus contiene una quantità enorme di antiossidanti, e da qui siamo partiti per le nostre ricerche. Poi attraverso la sperimentazione in vitro abbiamo scoperto la sua capacità di uccidere cellule tumorali del cancro al colon, al polmone e all’utero» racconta Stefania Meschini, ricercatrice dell’Istituto superiore della sanità.
Discreto numero di partecipanti, giornata soleggiata, temperatura gradevole, qualche alito di vento. Un po’ noioso il percorso della carrareccia per portarsi avanti il Castello di Respampani. Poi il gran belvedere dell’austero maniero che ripaga, appena scollinati dalla forra.
Oggi la Rocca è ben presidiata come non lo è mai stata neanche al tempo del leggendario Castellano “Fra Cirillo”. Il sindaco di Monteromano (con codazzo …) posto avanti il portale d’ingresso per chissà quale cerimonia: “Onori al folto Gruppo Tiburzi”! Negativa la richiesta di poter visitare il Respampani pagando l’accesso! I nostri soldi non interessano!
Dopo il giro del Castello entriamo nella proprietà del cavallo di Fra Cirillo. Un bel giovane “morello” che alla vista di tanta gente ha iniziato a battere la zampa anteriore sinistra per terra in segno di difesa del territorio. Un’incauta tiburziana si è avvicinata all’animale domandolo con gesti e sguardo, così che ci ha seguiti fino al Ponte di Fra Cirillo.
Il Gruppo prosegue per il “lungo Traponzo” fino al vecchio maniero. Breve escursione sotto le sue mura ed entro il rudere. Pranzo sul prato: primo, contorno di fresche cicorie, biete e galletti, il tutto aromatizzato con mentuccia e finocchio. Infine il rientro!
Per comprendere meglio il territorio in esame è anche il caso di prendere in considerazione la sua principale via di comunicazione, la Etrusca Clodia.
Si deve presumibilmente all’imperatore Claudio il nome e la sua lastricazione (I secolo d.C.). Denominata anche Via delle Terme, superava i dislivelli delle forre che attraversava tramite le c.d. “tagliate”, profondi tagli nella roccia.
Sul suo probabile percorso e diramazioni molto si è discusso, senza la certezza di averli ricostruiti esattamente. Certi sono soltanto i suoi mirabili scorci, le sue “tagliate”, e dei percorsi realizzati sul banco di tufo o lastricati, che recano i segni di millenarie frequentazioni. Ma tanti tratti sono scomparsi, interrati o sottoposti ad altre opere.
Con il prevalere di importanti vie complementari quali l’Aurelia e la Cassia, la Clodia ha subìto un lento abbandono, trascinando nell’oblio territorio e Paesi.
Collegava i centri seguenti: Veio – Isola Farnese – Galeria – Baccano – Lago di Martignano – Lago di Bracciano – Bassano – Veiano – Barbarano Romano – Ponte del Diavolo – Blera – Villa San Giovanni in Tuscia – Grotta Porcina – Norchia – Cava Buia – Sferracavallo – Ponte di Fra Cirillo – Castello di Respampani (diruto) – Tuscania – Canino - Cellere – Pianiano – Pietrafitta – Ischia di Castro – Farnese – Castro - Ponte San Pietro – Saturnia – Pitigliano – Sovana.
- Lago di Bracciano – Castel Giuliano – Cerveteri (Caere) - Lago di Bracciano – Canale Monterano – Stigliano - Castello di Rota – Strada di Poggio Baldone – Passo Viterbo – San Giovenale – Blera - Lago di Bracciano – Canale Monterano – Stigliano - Paesino di Tolfa Nuova (Tolfaccia).
P.S. Si è costituita oggi una associazione den. “Antica Via Clodia” che ricostruendo il corso della strada, ha organizzato una serie di tappe, raggiungibili a cavallo, a piedi ed in bicicletta (si traversano 2 regioni, 3 provincie e 27 Comuni), con partenza da Roma ed arrivo a Grosseto. In ogni tappa l’Organizzazione ha istituito punti di assistenza-ritrovo e ristoro secondo precisi programmi.
Sia la vasta Tenuta che la Rocca Nuova prendono il nome dalla diruta Rocca Medievale “Respampani”, proprietà dei ben noti signori “Spampani” di Tuscania. L’immensa e fertile estensione dei campi è particolarmente adatta all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame. Suggestivi i suoi estesi pascoli, sottratti ad un millenario bosco deciduo che dette ben 30.000 antiche querce per la costruzione, nel 1900, della strada ferrata Roma-Napoli.
Il Castello, progettato dall’arch. Canio Antonietti, nel 1600, su incarico del Precettore del Santo Spirito Ottavio Tassoni d’Este, doveva avere funzioni proprie e specifiche tali da assicurare tornaconto al Pio Istituto del S.Spirito, secondo un preciso “disegno”.
Alla maniera di una domus-culta romana avrebbe dovuto accogliere popolazione da avviare lavori di campagna, (agricoltura, allevamento, taglio dei boschi). Il territorio era particolarmente adatto allo scopo perché rimasto incolto per anni ed anni.
Il progetto non decollò neppure quando venne sostituito il castellano ritenuto incapace. Quando fra Cirillo Zabaldani, uomo di pochi scrupoli, si insediò alla guida del Castello, era fermamente convinto di risolvere alla sua maniera il difficile rapporto che si era instaurato tra contadini ed il vecchio datore di lavoro. Ma non fu così!
Il frate, cui si deve la restaurazione del Ponte sul Traponzo, viene descritto come uomo insolente, di mala condizione, misleale, spergiuro e traditore. Fu lui a far munire la Rocca di “gagliarde” fortificazioni e spingarde. Ma i contadini, maltrattati e ricattati, influenzati non poco dal “bel” carattere del Castellano, preferirono spostarsi nella nascente cittadina di “Monteromano”, per dedicarsi ugualmente a lavori di campagna, ove nel luogo era attiva un’osteria.
La costruzione del castello, venne interrotta intorno al 1670, quando ormai una significativa massa di contadini si era trasferita altrove mettendo in crisi il futuro dell’azienda agricola. L’opera rimase in uno stato incompleto, così come ancora oggi la si può vedere! Lo stesso Zabaldani fece sospendere i lavori per dedicarsi poi alla costruzione della Chiesa dell’Addolorata in Monte Romano.
La visita al bel maniero induce comunque un certo stato di suggestione. Scollinata la forra nessuno suppone che il Castello non abbia avuto un suo degno passato! Niente giostre a cavallo, rientri da caccia del signore, spari di spingarde, sontuose feste, belle castellane vestite di pizzo ed ardenti cavalieri, niente! Nemmeno il consueto buon fantasma, assiduo animatore delle notti castellane, a correre e scorazzare entro gli immensi saloni e corridoi nel suo lenzuolo bianco! Tutto quanto sembra sia stato negato alla bella Rocca di Respampani, le restano soltanto centinaia di schiamazzanti taccole che incrociano, incontrastate, i suoi azzurri e profondi cieli.
Costruito intorno al 1660, su preesistente struttura romana, doveva ricalcare o sostituire una più modesta opera etrusca posta nei dintorni. Indispensabile per consentire alla Via Clodia il superamento del Torrente Traponzo, proveniente dalla Cava Buia e diretta verso Tuscania. Il petrigno arco a schiena di asino, è appoggiato su due saldi piloni, che lo sostengono da ben 400 anni, incurante delle violente piene del corso d’acqua.
Il tratto calpestabile é stato realizzato in dura pietra locale, forse trachite, mentre per i parapetti, è stata utilizzata roccia diversa, più leggera, per evitare il sovraccarico sulla struttura.
Il Ponte venne anche chiamato del “Diavolo” o della “Pietà”. Il primo epiteto forse si riferiva al suo realizzatore, mentre il secondo sicuramente a quell’altare altare posto in fondo al parapetto destro (per chi scende dalla Rocca di Respampani) che doveva contenere l’immagine della Madonna con il figlio morente tra le braccia.
Nel Medioevo la struttura ha assicurato il transito a migliaia di pellegrini che dai Paesi del nord-ovest dell’Europa, dovevano raggiungere Roma.
Tre ponti che dovevano essere posti sui torrenti Biedano, Rigonero e Leia, che poco più a monte del Ponte di Fra Cirillo, confluivano in un unico alveo dando origine e nome al Torrente Traponzo. Tutto il territorio di Respampani, oltre al Fiume Marta, è attraversato da altri corsi d’acqua: il Capecchio, il Catenaccio e l’Infernetto
Nell’XI secolo il vecchio castello e tutta l’area appartenevano alla Famiglia degli Spampani di Tuscania, come si apprende da un regesto dell’Abbazia di Farfa, onde il nome derivato.
Ma nel 1170 il tutto è già proprietà di Guitto di Offreduccio di Vetralla, che successivamente cede alla Città di Viterbo. Ma prima della fine del secolo quei beni rientrano già tra le proprietà di due nobili di Tolfa, Guido e Nicola, che, per scorretto comportamento verso i pellegrini che transitavano lungo la Via Clodia, rischiano di perdere.
Grazie ad un atto di sottomissione al Papa, Innocenzo III, fortezza ed area annessa restano nelle loro mani.
Nel 1211, quando Tolfa e Viterbo entrano in guerra, un certo Grezzo, signore di Tolfa, se ne impossessa. In seguito la Rocca entra nelle lotte tra due potenti famiglie viterbesi, i Cocco ed i Gatti.
Nel 1221 il proprietario Nicola Cocco, per punire Pietro Cola, già signore della Rocca della Fazione dei Gatti, lo fa imprigionare e gettare in un pozzo posto entro le mura castellane.
UN “BUTTO” – ENORME “SECCHIO” PER L’IMMONDIZIA –
USATO QUALE PRIGIONE DI PIETRO COLA E FORSE ANCHE DI PALINO TIGNOSI.
In seguito Pietro Cola torna in possesso del Castello, che perderà definitivamente nel 1228 dopo la conquista romana del sito.
Nel 1254 è la volta dei Di Vico, Prefetti di Roma, che ne restano proprietari per circa due secoli. Nel 1374, Cola di Rienzo, per incarico del Comune di Roma, chiede la restituzione del Castello di Respampani, della Rocca di Civitavecchia e di altri Castelli della Tuscia a Giovanni di Vico. Nel 1377 papa Gregorio XI tenta invano di strappare la proprietà di Respampani alla Potente Famiglia Prefettizia, in contesa con il Senato di Roma. Soltanto nel 1434 i Di Vico, al tramonto del loro potere, perdono la proprietà della Roccaforte, che viene assegnata a Francesco Sforza, divenuto Prefetto di Roma. Ma già nel 1442 appartiene al Cardinale Ludovico Scarampi Mezzarota. Nel 1456 Papa Callisto III lo cede all’Ospedale di S.Spirito in Saxia, quindi alla Camera Apostolica e definitivamente al Santo Spirito (1471). Ma ormai il Castello viene definito “dirutum”: oltre ad un declino fisico dovuto alla mancanza di staticità del terreno, ha subìto un terremoto nel 1349.
FRANCESCO DI VICO (*): Prefetto. Figlio di Giovanni 3°, la sua vita non poteva non essere orientata da tanto padre. Francesco crebbe e respirò l’aria della fazioni, delle lotte baronali, delle battaglie politiche. Venne spesso dato in ostaggio e, proprio in questa veste e su ordine del tribuno, lo troviamo nelle mani di Cola di Rienzo a garanzia della quiete in Roma. Nel 1346 ebbe il suo battesimo di fuoco partecipando in armi ad una campagna contro i baroni romani ribellatisi a Cola: al momento del pranzo venne disarmato ed imprigionato con il padre. L’anno seguente venne dato nuovamente in ostaggio a Cola per garantirgli la restituzione da parte del padre Giovanni del Castello di Respampani. Nel 1355 è in ostaggio dell’Albornoz per garantirgli la restituzione delle rocche di cui suo padre si era insignorito. L’Albornoz valorizzò il giovane Francesco, nominandolo suo capitano e con il compito di mantenere la pace nelle città della Marca. Nel 1370 Urbano 5° gli proibì di duellare con Francesco Orsini in una disputa nata per i soliti rancori esistenti tra baroni romani. Nel 1375 è signore di Viterbo e due anni dopo, ribellatosi, sobillò il popolo romano al fine di creare sconcerto e malumore. Papa Gregorio 11° stipulò con Francesco un onorevole accordo di pace. Nel 1387 fu ucciso in un assalto armato, alla città di Viterbo, delle truppe del Cardinale Tommaso Orsini. Nel corso della Battaglia Francesco venne riconosciuto da un certo Palino Tignosi, il quale lo inseguì lo trafisse con una lancia e poi lo gettò da un profferlo. Si racconta che la vendetta di Giovanni di Vico, bastardo di Francesco, sia stata orribile: riuscito ad avere nelle sue mani l’uccisore del padre, lo condusse nella Rocca di Respampani, dove lo fece ingrassare ben bene, nutrendolo lautamente. Quando gli parve a “tiro” lo fece condurre sulla piazza della Rocca di Viterbo, tagliò il suo corpo a piccoli pezzi, ancora vivo e sotto i propri occhi, venne dato in pasto a certi mastini tenuti a digiuno per più giorni. La moglie, madonna Perna, gli partorì una figlia Giacoma, che venne tenuta a lungo tempo in ostaggio da Urbano 6°. Vani, 25-10-2015 FRANCESCO DI VICO (*): Prefetto. Figlio di Giovanni 3°, la sua vita non poteva non essere orientata da tanto padre. Francesco crebbe e respirò l’aria della fazioni, delle lotte baronali, delle battaglie politiche. Venne spesso dato in ostaggio e, proprio in questa veste e su ordine del tribuno, lo troviamo nelle mani di Cola di Rienzo a garanzia della quiete in Roma. Nel 1346 ebbe il suo battesimo di fuoco partecipando in armi ad una campagna contro i baroni romani ribellatisi a Cola: al momento del pranzo venne disarmato ed imprigionato con il padre. L’anno seguente venne dato nuovamente in ostaggio a Cola per garantirgli la restituzione da parte del padre Giovanni del Castello di Respampani. Nel 1355 è in ostaggio dell’Albornoz per garantirgli la restituzione delle rocche di cui suo padre si era insignorito. L’Albornoz valorizzò il giovane Francesco, nominandolo suo capitano e con il compito di mantenere la pace nelle città della Marca. Nel 1370 Urbano 5° gli proibì di duellare con Francesco Orsini in una disputa nata per i soliti rancori esistenti tra baroni romani. Nel 1375 è signore di Viterbo e due anni dopo, ribellatosi, sobillò il popolo romano al fine di creare sconcerto e malumore. Papa Gregorio 11° stipulò con Francesco un onorevole accordo di pace. Nel 1387 fu ucciso in un assalto armato, alla città di Viterbo, delle truppe del Cardinale Tommaso Orsini. Nel corso della Battaglia Francesco venne riconosciuto da un certo Palino Tignosi, il quale lo inseguì lo trafisse con una lancia e poi lo gettò da un profferlo. Si racconta che la vendetta di Giovanni di Vico, bastardo di Francesco, sia stata orribile: riuscito ad avere nelle sue mani l’uccisore del padre, lo condusse nella Rocca di Respampani, dove lo fece ingrassare ben bene, nutrendolo lautamente. Quando gli parve a “tiro” lo fece condurre sulla piazza della Rocca di Viterbo, tagliò il suo corpo a piccoli pezzi, ancora vivo e sotto i propri occhi, venne dato in pasto a certi mastini tenuti a digiuno per più giorni. La moglie, madonna Perna, gli partorì una figlia Giacoma, che venne tenuta a lungo tempo in ostaggio da Urbano 6°.
INTERNO DI UN CAMINO VULCANICO :
VISIBILI I SEGNI LASCIATI DALLA RISALITA DEL MAGMA
Condotto vulcanico in cui il magma passa, a forte pressione, dal sottostante bacino vulcanico per fuoriuscire dal cratere o dai crateri.
Arrivederci ai … Romitori di Castro!
Vanì, 25-10-2015